Ruggero Facchin
Insonne a cura di Federica Viola
Oggi le immagini ci avvolgono, in esse ci immergiamo completamente e da esse veniamo catturati. Scompare la cornice e l’immagine diventa spazio immersivo in cui svanisce il medium. È ormai aperta la porta che separa mondo reale e mondo iconico. Tempo e spazio non ci appaiono più definiti. Il primo si disperde nella sua massimizzazione diventando solo il momento presente, il secondo non è più circoscrivibile, contenibile, dominabile ma diventa elemento plurivoco.
Emergono, dunque, rinnovate istanze esistenziali e pretendono risposte che le consuete modalità di approccio non possono offrire.
Ruggero Facchin, attraverso la propria arte, indaga in profondità questi aspetti della nostra contemporaneità, mostrando nuovi percorsi di armonizzazione.
In mostra sono presenti quattro serie, realizzate tra il 2017 e il 2023. Esse dialogano fra loro portando con sé il medesimo paradigma, ma declinato in modi differenti e così si fanno promotrici di un approccio diversificato e flessibile al reale.
Nella serie Sonno Lucido Facchin descrive, sulle tele, corpi levitanti immersi in una dimensione straniante. Sono sentinelle che vigilano sui nostri misteri, ambasciatori di una nuova visione, veggenti che predicono la nostra rivoluzione. Essi si posano sul limen tra dimensione razionale e dimensione irrazionale, tra sonno e veglia, vita e morte, dove gioca il nostro inconscio, si destreggia il bagliore onirico, una virtualità espressiva ancora non domata, che ci parla di Pan, del nostro istinto, che ci suggerisce enigmi la cui soluzione può dare vita a nuove metamorfosi e costituire la via verso quella spontaneità smarrita di cui l’essere umano inizia ad avere fame assoluta.
Nel suo stile l’artista mostra il proprio debito nei confronti della pittura tonale legata alla terra natia ma dà rilievo, altresì, alla dimensione disegnativa, figlia del mondo delle bandes dessinées da lui tanto amato. Da esso sono emersi alla sua attenzione artisti del fumetto quali Milo Manara, Hugo Pratt e Moebius. Disattendendo apertamente l’atteggiamento di distanza, tipicamente adottato dalla cultura ufficiale nei confronti del fumetto, egli si lascia ispirare da questa forma d’arte sublimandone la complessità nella propria opera.
Nella serie Teste l’artista, reinterpretando in chiave contemporanea la collezione di ritratti di uomini illustri dell’umanista Paolo Giovio, ci accompagna nell’esplorazione dell’identità di personaggi noti del mondo della letteratura, della musica e della filosofia, che lo hanno profondamente influenzato, ma anche di personaggi di fantasia che istintivamente lo scuotono. Egli scruta in profondità il soggetto e, attraverso l’atto espressivo, ne fa emergere unicità e irripetibilità. Anche in questo caso la tecnica è mista, ponderata in base al soggetto rappresentato. Lo sguardo non è definito alludendo ad occhi interiori capaci di smascherare. Pure questi uomini si fanno messaggeri, aruspici, sentinelle. Vibrano in dissonanza, imponendoci una ricerca profonda e faticosa per scoprire un equilibrio tra ragione e istinto. L’impeto dell’atto fisico che ha condotto alla creazione di questi ritratti traspare evidente, l’azione concreta suggella l’incontro dei due lati. La pittura, mentre elude la mediazione ideologica, manifesta la dimensione istintuale, essa è l’atto fisico che non sa mentire, mentre mette a nudo l’artista, smaschera chi osserva.
L’identità è indagata anche nella serie Ossario in cui l’artista esercita l’azione di ritrarre facendo emergere sembianze insolite, spesso trascurate, camuffate sotto la superficie, ma determinanti. Egli, sempre esplorando il confine tra vita e morte, dopo una visita all’Ossario di Custoza, inizia un’approfondita indagine sulla fisionomia di alcuni teschi lì custoditi. Ognuno ha un’identità irripetibile quasi mai sigillata da un nome, e Facchin intende risarcirla dell’esistenza perduta. Sceglie come strumento il disegno, optando per un ritratto che diserti gli schemi accademici e, salvaguardando l’aleatorietà e l’improvvisazione, mostri il risultato dello scarto tra l’immagine mentale iniziale e la capacità di darle una forma. In questo modo pone l’accento sull’indicibile che trapela dalle nostre scelte ma anche sull’importanza di riconoscere i propri limiti contemplata nell’esortazione gnothi seautón. Opponendosi alla proliferazione iconica e al conseguente processo di dissipazione in atto, l’artista pone in essere un’attività fabbrile con strumenti tradizionali. La dedizione con la quale muove a uno sforzo non solo mentale ma anche fisico diventa un invito, rivolto a ciascuno di noi, a prodigarci con impegno in un’indagine altrettanto concreta nei confronti di noi stessi, per risvegliare le nostre identità che stanno rischiando di dissolversi nella massa.
Nella serie Best Kept Secret, infine, l’andamento si inverte e il disegno interviene a rappresentazione conclusa e perfettamente chiarita anche per l’artista. La sperimentazione si sviluppa attraverso la decompressione di un’accumulazione di stimoli, attuata senza preliminari. Abbandonandosi alla solitudine egli lascia spazio ad un’osservazione non più solo visiva, ma aperta alla ricezione di impulsi differenziati, attraverso l’utilizzo di tutti i sensi. Per un paio d’anni Facchin cerca di limitare il suo campo d’azione per estendere quello delle ipotesi e radicalizzare un cambio di punto di vista. Lo fa servendosi esclusivamente di tutto ciò che gli si manifesta entro il raggio di un chilometro dal luogo in cui dipinge. Il bosco diventa una palestra per esercitare il segno. La flora partecipa all’atto creativo, gli animali diventano modelli di archetipi rappresentativi e, fra tutti, lo scarabeo, che protegge con una corazza le sue parti più delicate. Anche l’artista ne ha una, fatta di un linguaggio ermetico che lo difende sottraendolo dagli attacchi di chi subisce il timor panico destato dal suo lingiaggio artistico. Indossando la sua corazza egli ci invita a fare lo stesso per proteggere la fragile dimensione inconscia e con essa il nostro istinto. Nel mondo contemporaneo la razionalità ha provato a soggiogare l’inconscio ma esso si ribella esponendoci a disturbi che fatichiamo a riconoscere (nevrosi, attacchi di panico, burnout…). Siamo quindi chiamati a ricomporre la nostra identità e diventa essenziale comprendere che esso è necessario, è il nostro serbatoio di possibilità, ciò che, sfidando il nostro raziocinio, alimenta la nostra evoluzione.
Gli scarabei di Facchin animano gli stessi spazi di frontiera che abita l’insonnia, luoghi enigmatici, densi di simbologie archetipe che stimolano riflessioni introspettive. Coesistono con essi strutture architettoniche ieratiche e tassellazioni con moduli decorativi arabeggianti che suggeriscono arcane allegorie. Attraverso queste rappresentazioni l’artista reclama il ritorno alla dimensione del gioco “serio” del bambino, quello che aderisce alla metafisica. Chi schernisce il linguaggio artistico, di fronte ad esso, si troverà in debito di ossigeno, non riuscirà ad immergersi nell’abisso di concentrazione necessaria ai giochi impegnativi. Allo stesso modo, chi sottovaluta e segrega la dimensione dell’inconscio e dell’istinto è destinato a non poter accedere ad una completezza umana che, di fronte alle sfide contemporanee, presto sarà indispensabile aver ritrovato.
Federica Viola