Gianfranco Gentile

Gianfranco Gentile

Personale

 

L’archeologia industriale di Gianfranco Gentile è un’operazione di recupero complessa perché globale.
Il suo lavoro va a riscoprire elementi iconografici di un passato cronologicamente non così distante dal nostro presente, eppure già oggetto di “scavo”. 
Senza dilungarsi troppo in ragionamenti sul significato e l’importanza del macchinario industriale per la società e l’arte del secolo precedente, conviene fermare la nostra attenzione concretamente sulle opere di Gentile.
I suoi pannelli, dalle forme non standardizzate, ma imperfette ed eccessive, offrono allo spettatore lo spettacolo della tecnologia della macchina. 
Parti e componenti meccanici non solo raffigurati, ma indagati con lenticolare precisione, dettaglio per dettaglio, grazie ad una sorprendente abilità nell’uso del colore a pastello, in grado di esaltare sia il freddo grigio dell’acciaio e del ferro, sia il rosso aranciato della ruggine, senza mai darci la percezione di una monocromia. 
Tutto è vivo grazie ai netti contrasti di luce ed ombra, che definiscono la profondità dei macchinari, in un gioco illusorio ancora più intrigante proprio perché vicino all’iperrealismo.
Linee, dettagli, viti, bulloni, ingranaggi emergono nitidamente dalla struttura della macchina.
I punti di vista ravvicinati e parziali, frammentano gli oggetti e li rendono non più totalmente riconoscibili, ma soltanto intuibili, come se l’artista volesse, consapevolmente, non rappresentare, ma evocare, attraverso pezzi di un passato decontestualizzato, riciclato, un nuovo mondo futuribile. 
La perfetta omogeneità del supporto completa e rende ancor più significante l’intento dell’operazione. Le righe parallele del cartone, con la loro tangibile tridimensionalità, fanno da controcanto all’immaginaria concretezza del soggetto dipinto.
Il colore uniforme ed etereo dello sfondo ricorda un paesaggio lunare, un oceano di silenzio, in cui fluttuano relitti vuoti, giganti metallici, un po’ come la danza delle astronavi nel film “2001 Odissea nello spazio”.
Idoli venerati da una civiltà ormai conclusa, ma fatta rivivere da questo artista che sfronda l’eco del passato dall’esaltazione modernista della potenza della macchina, lasciando però intatta la bellezza del congegno, delle linee, della forma.

Alice Zamberlan

 

Blue-Gold-Casket